Tra le risposte più frequenti dei dipendenti all’assenza di wellbeing nel contesto aziendale, troviamo il Quiet Quitting, termine che definisce una forma di apatia e abbassamento progressivo dell’interesse del dipendente verso le proprie mansioni.
Scopriamo in questo articolo come nasce e il suo effetto sul wellbeing.
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Ogni generazione adotta un approccio personale al mondo del lavoro, influenzato dal contesto sociale circostante e dai benefici che può trarne.
Negli anni Novanta, per esempio, il boom imprenditoriale promosso dal successo di start-up come Google e Meta, crea la cosiddetta Hustle Culture, una cultura del lavoro veicolante valori come la dedizione e l'intraprendenza.
Grazie alla portata dei social, soprattutto LinkedIn, nei primi anni del Duemila questo nuovo approccio lavorativo assume una diffusione globale, rafforzando una filosofia imprenditoriale per la quale il sacrificio diventa motore del successo, rinunciando, nei casi più estremi, anche alla vita privata.
Negli ultimi anni, però, il mondo del lavoro è stato testimone di una progressiva diminuzione di questa ondata di entusiasmo, frenata dalla maggiore attenzione dei dipendenti verso il proprio benessere mentale.
Nascono temi come il wellbeing e il work-life balance, che ridefiniscono la scaletta di priorità dei dipendenti. Si inizia ad anteporre il benessere al successo professionale e questo mette in luce l’incapacità, da parte delle aziende, di rispondere alle nuove esigenze.
Questa discrepanza innesca un sentimento di malessere collettivo che colpisce in maniera più pronunciata le nuove generazioni (Millennials e Gen Z), temporalmente e ideologicamente molto distanti dalla Hustle Culture, che rispondono alla distanza da questa visione aziendale con fenomeni come la Great Resignation e il Quiet Quitting.
Quando un’azienda non riesce a rispondere in modo adeguato alle esigenze dei dipendenti, l’interesse di questi ultimi verso la propria posizione lavorativa si abbassa e questo può portare, per esempio, a cambiare azienda, come nel caso della Great Resignation.
Se, però, nonostante l’insoddisfazione, il dipendente decide di non valutare alternative, per mantenere una sicurezza economica, o per paura di non avere un adeguato livello di occupabilità, avviene il cosiddetto Quiet Quitting.
Questo termine, che in italiano potremmo ricondurre al “limitarsi allo stretto necessario”, indica la situazione in cui, in assenza di supporto al benessere da parte dell’azienda, o per un distacco in termini di valori con il datore di lavoro, un dipendente applica una strategia di riduzione dello stress basata sul ridurre al minimo le proprie responsabilità.
Oltre ai primi due fattori scatenanti, possiamo citarne un terzo, che in Italia trova grande riscontro: i benefit aziendali. Come abbiamo visto nell’articolo sul welfare aziendale, questi si rivelano un asset strategico nel coltivare il wellbeing dei dipendenti.
Secondo i dati 2024 dell’Osservatorio Double You, l’86% dei beneficiari del “Welfare on top”, ovvero tutti quei benefit che non rientrano in quelli previsti dal CCNL di riferimento, appartiene alla Generazione X.
In molti casi, questa discrepanza è sintomo della tendenza, da parte delle aziende, di limitarsi a premiare solo gli alti livelli della struttura, cosa che ha un effetto negativo sui dipendenti più giovani, che non vedono ricompensato adeguatamente il proprio impegno, incentivandoli a mettere in atto comportamenti tipici del Quiet Quitting.
I dipendenti che applicano questo approccio, evitano per esempio di partecipare a progetti che non competono direttamente le loro attività, oppure decidono di non fare mai straordinari, anche se questo potrebbe precludere futuri avanzamenti di carriera.
Possiamo quindi definire il Quiet Quitting come una risposta autonoma da parte del lavoratore, sotto forma di ribellione, verso la mancanza di benessere sul luogo di lavoro, che viene contrastata attraverso una riduzione dell’interesse e dell’impegno verso l’azienda.
Il Quiet Quitting ha un impatto permeante sulla struttura aziendale, dal momento che influisce sulla produttività collettiva su diversi livelli.
Nell’articolo “Wellbeing aziendale: cosa significa guardare al benessere delle persone” abbiamo approfondito i vari fattori che contribuiscono al miglioramento del wellbeing e, tra questi, gioca un ruolo fondamentale il clima aziendale.
Lavorare in un contesto cooperativo e aperto all’ascolto influisce sul benessere dei dipendenti, ma questa modalità di lavoro dipende dalle interazioni tra i membri del medesimo team.
Il quiet quitter, disinteressandosi al successo dell’azienda, non contribuisce a creare un approccio di lavoro partecipativo e attento al feedback.
Un altro elemento essenziale del wellbeing è la possibilità di sviluppo di nuove competenze.
La ricerca “Oltre le Generazioni” realizzata su un campione eterogeneo di quasi ventimila lavoratori italiani, conferma che il 72% dei Millennials intervistati ritiene fondamentale la possibilità di sviluppare competenze sul luogo di lavoro. Il 67% dei Gen Z, invece, preferisce un percorso che preveda una crescita in termini di competenze, anziché una stabilità sul lungo periodo.
In molti casi, il quiet quitting viene incentivato anche dall’assenza di un percorso di crescita professionale, che dimostra l’interesse dell’azienda nel coltivare il talento dei propri dipendenti.
Ecco perché, per stimolare l’entusiasmo e contrastare il Quiet Quitting, includere nella propria strategia corsi di formazione può essere molto utile.
In conclusione, possiamo affermare che l’attenzione verso il benessere è un tema a cui le nuove generazioni danno sempre più rilievo e, nel caso in cui l’azienda non offra una risposta positiva a queste esigenze, si manifestano comportamenti nocivi come il Quiet Quitting: mettere in pratica soluzioni che migliorano il wellbeing contribuisce a ostacolare questi fenomeni e aiuta i dipendenti a sentirsi parte attiva della vita aziendale.
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