Il 2024 è stato un anno decisivo per comprendere i futuri scenari dello smart working in Italia: sebbene le previsioni suggerissero un ritorno al lavoro in presenza, i dati e le nuove tendenze hanno dimostrato una volontà, da parte delle imprese e dei lavoratori, ben differente.
Approfondiamo il tema nel dettaglio.
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Indice:
Il tema dello smart working continua ad essere un indice molto utile per comprendere non solo la situazione attuale, ma anche la direzione verso cui il futuro del mondo del lavoro si sta muovendo.
Ciò che è emerso dai dati relativi al 2024 ritrae una situazione altalenante: se, da una parte, lavoratori e grandi aziende continuano ad avere un atteggiamento favorevole verso la possibilità di svolgere parte della settimana lavorativa da casa, le piccole e medie imprese e gli interventi politici sul tema si dirigono in direzione opposta.
Le stime dell’Osservatorio sullo Smart Working 2024 hanno segnalato un leggero calo del numero di smart worker in Italia rispetto all’anno precedente: se nel 2023 circa 3,58 milioni di dipendenti avevano adottato un approccio flessibile al lavoro, nel 2024 il numero è sceso dello 0,8%, abbassandosi a 3,55 milioni di lavoratori smart.
La riduzione, per quanto presente, appare in minima forma, il che suggerisce una tendenza generalmente positiva all’adozione dello smart working, considerando che lo studio condotto prevede per il 2025 una crescita stimata del 5% di smart worker.
Alla luce di questa prospettiva, a cosa bisogna attribuire la diminuzione sopracitata?
Uno dei primi driver che hanno influenzato il calo degli smart worker in Italia nel 2024 è stato il ritorno alla legge 81 del 2017: fino a marzo 2024, le politiche in merito alla flessibilità lavorativa prevedevano il diritto allo smart working per alcune categorie di lavoratori, come i dipendenti con figli entro i 14 anni e i lavoratori fragili.
Per quanto fosse limitata in termini di possibilità di adesione, questa normativa aveva diffuso una nuova declinazione del concetto di smart working non solo come benefit aziendale, ma come un vero e proprio diritto.
Il ritorno alla legge 81 del 2017 ha quindi riportato il lavoro da remoto ad una condizione contrattuale volontaria, che svincola le aziende da qualsiasi obbligo di applicazione dei contratti di smart working.
Per questo motivo, nel 2024 era stato previsto un ritorno massiccio al lavoro in sede, ma nuovi driver hanno impedito questa retrocessione, tra cui la diversa concezione di benessere aziendale da parte delle nuove generazioni.
Negli ultimi anni, il concetto di wellbeing in azienda è mutato, dando sempre più importanza al tema del work life balance.
In questo contesto, driver come la retribuzione passano in secondo piano, mentre elementi collegati con la flessibilità, come lo smart working, diventano cruciali nella considerazione delle proprie prospettive lavorative.
Per capire l’impatto di questo scenario sul mondo aziendale, riprendiamo i dati dell'Osservatorio sullo Smart Working 2024: secondo l’analisi, il 73% dei lavoratori italiani si opporrebbe ad un’eventuale eliminazione dello smart working, mentre il 27% cambierebbe lavoro. Per questa ragione, molte aziende, soprattutto tra le più grandi, integrano lo smart working come fattore di retention dei propri dipendenti.
Un altro elemento che ha inciso sulla riduzione del numero di smart worker in Italia tra il 2023 e il 2024 è il divario in termini di innovazione tra PMI e grandi imprese.
Tra il 2023 e il 2024, nelle grandi imprese l’integrazione di modalità di lavoro da remoto ha raggiunto un aumento dell’1,6%, mentre nelle piccole e medie imprese il dato ha registrato un calo dell’8,7%.
Entrando nel dettaglio, nel 2023 il mercato delle pmi contava circa 570 mila smart worker, mentre l’anno successivo il numero è sceso a 520 mila.
La contrapposizione tra pmi e grandi imprese nell’integrare strutturalmente il lavoro da remoto appare anche in termini di giornate “in smart” concesse: se nel 2024 la media di giornate da remoto previste nelle grandi aziende arrivava a nove, il numero nelle piccole e medie imprese scende a 6,6.
Questa dissonanza trova ulteriore riscontro se consideriamo le motivazioni che hanno portato 50mila lavoratori italiani (l’8,7% citato sopra), alla rinuncia dello smart working tra il 2023 e il 2024.
Lo studio segnala tre motivazioni principali rispetto a questa retrocessione:
Le evidenze espresse dimostrano quanto l’approccio della piccola imprenditorialità sia ancora ancorato ad un modello basato sul presenzialismo, che si scontra con la nuova visione aziendale delle grandi imprese che abbracciano l'importanza del lavoro da remoto come un driver essenziale del work life balance dei dipendenti.
I dati Eurostat più recenti sull’adozione di politiche di smart working da parte dei paesi europei mettono in luce come l'Italia sia indietro rispetto alla media UE, che dopo la pandemia ha progressivamente integrato e promosso modalità di lavoro ibride.
Molti paesi dell’Unione mostrano un atteggiamento favorevole verso lo smart working, per diversi motivi.
In primo luogo, come abbiamo accennato, lavorare da remoto permette di raggiungere una qualità in termini di work life balance superiore, il che coincide con le nuove priorità dei lavoratori europei.
Inoltre, applicare politiche di smart working riduce i costi aziendali legati al mantenimento delle proprie strutture e, allo stesso tempo, riduce l’impatto sulle emissioni di CO₂ legate allo spostamento dei dipendenti.
Eurostat: classifica dei paesi europei sulla base dell’adozione dello smart working nel 2023
Nonostante i diversi vantaggi che lo smart working offre, nel 2023, sulla totalità dei lavoratori italiani, solo il 4,4% svolgeva almeno 3 giorni alla settimana da remoto: la Finlandia, invece, paese europeo con la percentuale più alta di smart worker, sulla stessa variabile raggiungeva il 22,4%.
In questo contesto, l’Italia si posiziona ventisettesima, mostrando un grande arretramento rispetto all’adattamento verso il futuro lavorativo degli altri membri UE.
In conclusione, possiamo affermare che i dati in Italia sullo smart working nel 2024 delineano un contesto dove l’approccio al lavoro da remoto avrà una diffusione sempre maggiore e diventerà uno dei principali indici di valutazione del wellbeing aziendale da parte degli attuali dipendenti e dei nuovi talenti.
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